La Cabala

O meglio, la Kabbalah

La Kabbalah non è uno dei miei mezzi esoterici preferiti, ad essere sinceri. L'associazione Cabala - Tarocchi è artificiale, risale alle speculazioni vittoriane; non c'è nessuna connessione storica più antica del 1700. Nonostante ciò, è molto divertente cercare di connettere culture diverse attraverso i diversi simboli e significati. Quindi mi sono detta: perché non allacciare tutto? Cabala, tarocchi e rune. Come pensavo, è stato divertente e stimolante.

Kabbalah significa "tradizione"; la leggenda vuole che Dio l'abbia insegnata ad Adamo per aiutarlo a comprendere le leggi della creazione. La legge Kabbalistica prevede una trasmissione orale, ma ovviamente qualcuno ha messo tutto per iscritto, e nel 1500 il Sepher Yetzirah (il primo testo di formazione) venne stampato a Mantova.

Ovviamente è un sistema complesso e convoluto, come tutto ciò che riguarda la tradizione ebraica, però l'idea su cui si basa il sistema Cabalistico è il glifo (cioè, un agglomerato di simboli) dell'albero della vita. Le intersezioni dell'albero vengono chiamate Sephiroth. Ogni sephirah rappresenta un archetipo, che si esprime sia a livello universale che individuale. Quindi ogni sephirah rappresenta regole divine su cui si basa l'universo, e ognuno di noi esprime queste regole, in un modo o nell'altro.

kabbalah

Come si vede dalla mia bellissima immagine creata con Paint.net, le Sephiroth si pongono su tre pilastri verticali.

Il pilastro sinistro è la polarità femminile, che (ovviamente) esprime la "maledizione primordiale". Le sephiroth di questo pilastro sono quelle severe e rigorose.

Il pilastro di destra è la polarità maschile, che (OVVIAMENTE) esprime la "benedizione divina". E' analogo allo yang taoista, determina il vettore di forza e grazia.

Il pilastro centrale, infine, funge da bilancia androgina: ha entrambe le caratteristiche di benedizione e maledizione.

Le sephiroth sono tutte connesse, e queste connessioni permettono di distinguere dei livelli (o mondi). Non è importante in questa sede analizzare i livelli, che hanno nomi impronunciabili e peculiarità su cui si discute da secoli. La cosa importante è sapere che più si è in alto, più si è vicini all'origine del Logos.

Potrei spiegare la Kabbalah con paroloni e discernimenti filosofici, ma è meglio usare un esempio.

Immaginate uno scrittore. Questo scrittore sa come si scrive, ha stile e fiducia. Ma ha troppe storie da raccontare. Perciò, ogni giorno si bea della sua essenza, pensando a quante storie potrebbe scrivere, eppure non lo fa. Lo scrittore è in Kether, cioè contiene il tutto in un concentrato di potenzialità.

Poi, un giorno, mentre è a fare la spesa, gli viene voglia di scrivere qualcosa. Gli viene in mente solo una frase, o una parola, che suona particolarmente bene. Nella sua testa è tutto ancora confuso, ma qualcosa c'è. E' Chokmah, la chiamata, una forza maschile che fa esplodere Kether e che crea un flusso di energia straripante, incontenibile. Kether si è sdoppiato in due punti, e la storia rimbalza tra essi.

Lo scrittore torna a casa, non si leva nemmeno le scarpe e apre il taccuino. Inizia a scrivere un flusso di coscienza che man mano diventa sempre più strutturato, più "contenuto". Piano piano si delineano personaggi, ambientazione, trama. Qui lo scrittore è in Binah: una forza femminile che dà forma a Chokmah, plasma le idee in qualcosa di più strutturato.

Kether, Chokmah e Binah è dove ha origine il Logos. Questa è la culla della creazione.

La trama c'è. Lo scrittore scrive senza freni, generosamente. Ogni personaggio ha la sua sottotrama, ha spessore. Qui è in Chesed: l'amore, la grazia. Chesed attinge dall'archetipo, cioè da quella prima bozza scritta in Binah, e lo fa senza porsi limiti.

Passano i mesi, e il libro è quasi finito. Lo scrittore, a questo punto, si rende conto di aver riempito 10 taccuini. Devo tagliare qualcosa, pensa. Lo pensa con dolore, ma sa che la distruzione è parte della creazione: questa è la maledizione di Ghevurah. Dopo la creazione senza freni per l'amore di creare di Chesed, Ghevurah smaltisce il superfluo.

E infine: la creazione è completa. In Thiphereth lo scrittore capisce che questa non è una storia, ma un'opera d'arte. C'è armonia, la storia è avvincente. Lo scrittore ne sente la magia e il potenziale.

Ma il viaggio non è finito, c'è ancora da fare.

Bisogna trovare un equilibrio tra Nethzach e Hod, tra intuizione e tecnica. Nethzach è l'emisfero destro, l'intuito e la creatività, la forza dell'amore che dice allo scrittore di non cambiare quella frase che, anche se un po' arcaica, suona tanto bene. E dall'altra parte c'è Hod, l'emisfero sinistro, che gli ricorda della grammatica e delle regole che ha imparato a scuola.

Finalmente, lo scrittore arriva in Yesod. Il libro è finito e coerente, perfetto. Ha perfetto equilibrio tra la forma di Hod alla forza di Nethzakh.

Lo scrittore sente un nuovo richiamo: la forza della condivisione. Questo libro va pubblicato, e così fa. La sua storia finisce in tutte le librerie e diventa un cult. La fine del viaggio è Malkuth, il regalo concreto di Kether al mondo.

Seppur il viaggio sia finito, il ciclo non finisce mai. Il libro del nostro scrittore proviene dalla fonte primordiale, e perciò è illuminato. Chiunque toccherà, leggerà e custodirà quel libro entrerà in contatto con una idea pura, fonte di ispirazione per una nuova creazione, destinata a vivere per sempre. E allora ci saranno nuovi scrittori. E nuovi Kether.

E Daath? Daath è la scorciatoia. Daath è quando ti svegli di notte con l'urgenza di scrivere, e scrivi. Non sai cosa, scopri la trama così come appare sul foglio. Non c'è contenitore, non c'è distruzione e non c'è revisione: c'è una storia che si genera da sola, perché è la chiamata di Kether. E' quando si apre un canale. Fa paura e assorbe, perché lo scrittore perde il controllo di sé. Si trasforma in una penna che scorre, diventa strumento.

Quando una forma d'arte passa da Daath, si vede: la creazione in Daath è così simile alla realtà che quasi ci si scorda che l'arte è finzione.

Qualcuno di voi saprà che mio padre è un attore (anche perché è più che probabile che solo mio padre legga questo blog). Lui dice sempre che recitare non è indossare una maschera, ma toglierla. Perché ognuno di noi contiene tutte le storie del mondo, e quando si impersona un personaggio, non si fa altro che mostrarlo, perché lui è già parte di te. Quindi sul palco si toglie la maschera, quella che indossiamo ogni giorno.

Ho divagato? Forse. Mi interessa? No.

Ora però posso connettere Kabbalah, Rune e Tarocchi senza remore. A presto!